Legittimo il rimborso delle imposte versate per errore
a cura di paolo
Le somme versate per errore con ravvedimento possono essere richieste a rimborso, in quanto errore formale che non implica riconoscimento del debito d’imposta.
Il ravvedimento è quello strumento, disciplinato dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 472/1997, grazie al quale un contribuente può regolarizzare l’omesso versamento di un tributo o di un acconto d’imposta.
La regolarizzazione avviene attraverso il versamento dell’imposta dovuta, degli interessi e di una sanzione, questi ultimi quantificati in base al tempo trascorso tra la scadenza originaria del pagamento omesso e la data del ravvedimento, in base alle disposizioni del già citato articolo 13 del Decreto Legislativo 472/1997.
In sostanza il ravvedimento operoso permette al contribuente di sanare spontaneamente le proprie pendenze con il fisco ad un costo contenuto, e costituisce uno strumento che ne premia la buona fede in caso di dimenticanza o di errore.
Ma cosa succede se l’errore, al contrario, è proprio il ravvedimento di una imposta che invece non era dovuta?
La questione non è pacifica come potrebbe sembrare, e lo dimostra il fatto che è arrivata fino in Cassazione.
Con l’ordinanza numero 28844 del 16 dicembre 2020 la Suprema Corte affronta proprio il caso di un contribuente che, credendo di aver sbagliato a non assoggettare a IVA delle fatture mancanti del requisito della territorialità, aveva sanato la sua posizione versandone la relativa imposta più sanzioni e interessi, salvo poi accorgersi che invece non aveva commesso un errore.
Il contribuente aveva trasmesso istanza di rimborso della somma versata per errore all’Agenzia delle Entrate, ma l’ufficio aveva opposto silenzio rifiuto, non perché ritenesse che le somme erano invece dovute (circostanza non contestata in giudizio), ma perché, e qui sta il punto importante, secondo l’Agenzia, una volta che il contribuente si è avvalso dello strumento, le somme versate in esecuzione dello stesso non sono ripetibili (secondo la prassi si definiscono ripetibili le imposte suscettibili di rimborso), “in quanto il ravvedimento operoso implica il riconoscimento della violazione, dei presupposti della sanzione e preclude la reversibilità di tale scelta”.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, a prescindere che l’imposta versata tramite ravvedimento sia dovuta o meno, questa non può essere richiesta a rimborso perché il ravvedimento stesso costituisce riconoscimento della violazione.
Sul punto però sono di opinione diametralmente opposta la Commissione Tributaria Provinciale, che ha accolto il ricorso del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale che ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ed anche la Corte di Cassazione la quale dichiara che, poiché il contribuente è ammesso a correggere ogni tipo di errore, anche il ravvedimento operoso, al pari che per qualsiasi altra dichiarazione, è ritrattabile e modificabile, non essendo tenuto il contribuente a pagare più di quanto previsto dalla Legge a suo carico.
Di conseguenza, precisa la Corte, “in assenza dei presupposti per il versamento del tributo e delle sanzioni […], e stante la natura meramente formale della violazione commessa dal contribuente, non è ostativo al rimborso dei relativi importi il versamento degli stessi in sede di ravvedimento operoso, non essendo dovute sanzioni in assenza di debito di imposta per violazioni formali”.
In definitiva quindi, nel caso in cui il contribuente ravveda per errore una imposta in effetti non dovuta, questi potrà legittimamente chiederne e ottenerne il rimborso, in quanto rappresenta un errore formale che non può arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e che non costituisce riconoscimento di un debito d’imposta inesistente in base alla Legge.